Idomeni era il più grande campo profughi della Grecia. Una distesa di tende lungo la ferrovia al confine con la Macedonia. Dove prima c’era un valico per accedere alla rotta balcanica verso l’Europa occidentale, ora c’è una recinzione
pattugliata dai militari; chilometri di filo spinato. I paesi dei Balcani hanno cominciato a chiudere le frontiere a singhiozzo, e hanno costruito recinzioni al confine per impedire ai profughi di passare, infine l’Unione europea
ha deciso di permettere ai governi di ripristinare i controlli alle frontiere e ha sottoscritto un patto con la Turchia, che prevede di intercettare in mare le imbarcazioni che varcano l’Egeo dirette verso la Grecia e di rimandare
indietro i profughi. L’accordo ha determinato la chiusura definitiva della rotta balcanica e quasi 55mila persone sono rimaste bloccate in campi ufficiali o informali in Grecia, sospese in un limbo.
Arrivati qui perché questa è considerata una strada più sicura di quella che contempla le torture dei trafficanti libici, il Mare Mediterraneo, l’Italia. Hanno viaggiato per mesi, sostato in Turchia, raggiunto le coste, attraversato
il mare su piccoli canotti a remi. Sono sbarcati sulle isole dei turisti, Kos, Lesbo e Symi. Non hanno mai perso la speranza. Vogliono raggiungere il Nord Europa: la Germania, la Svezia, l’Olanda. Non immaginavano di ritrovarsi
bloccati in mezzo a questi binari, dove nessuno li vede. Ancora una volta.
La maggior parte dei profughi di Idomeni è di origine siriana. Vengono da Damasco, da Aleppo, da Deir Ezzor, da Raqqa, da Idlib, da Homs, da Hama. Raccontano la tragica geografia della guerra: le minacce del gruppo Stato islamico che chiamano con disprezzo Daesh, i bombardamenti dell’esercito di Assad sulla popolazione civile, i rastrellamenti, la coscrizione obbligatoria per gli uomini che vengono arruolati per ingrossare le file dell’esercito. Ci sono anche iracheni, afghani, iraniani. Tantissimi curdi, della regione del Rojava – una vita di resistenza tra le montagne per il proprio popolo – e altrettanti palestinesi, spesso già profughi in Siria dopo essere stati cacciati dalla propria terra. La maggioranza appartiene alla classe media, ha una buona formazione scolastica: nel loro paese gestivano negozi, ristoranti, erano insegnanti, artigiani, impiegati, medici, sarti. Se la passavano bene prima della guerra, per questo è ancora più difficile accettare di aver perso tutto e di essere costretti a vivere nella miseria in una periferia dimenticata dell’Europa, bloccati in un limbo fatto di fango, malattie e mancanza di informazioni.
“Mentre torni a casa, a casa tua, pensa agli altri, non dimenticare i popoli delle tende. Mentre ti addormenti contando i pianeti, pensa agli altri, che non trovano un posto dove dormire. Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri, coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.”
Mahmoud
Darwish
2016
PLACEIdomeni