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Il campo profughi di Idomeni, al confine greco con la Macedonia. Circa 12.000 rifugiati vivono in piccole tende e nelle rovine di una vecchia stazione ferroviaria di Idomeni. Intere comunità di profughi protestano in maniera pacifica, per chiedere a Grecia e Macedonia la riapertura delle frontiere, unica possibilità di proseguire il loro viaggio verso il nord Europa, e la speranza di una vita migliore.I bambini sono migliaia ad Idomeni, di tutte le età. Alcune donne, dopo aver affrontato il viaggio col pancione, hanno partorito nelle tende. Sul confine con la Macedonia ci sono una stazione di servizio ed un mini market che danno il benvenuto in Grecia.Tutti coloro che non sono Siriani, Iracheni o Afgani, in Macedonia non possono entrare e vengono, dunque, bloccati al confine. Chi riesce a fuggire si rifugia poco lontano nella cosiddetta "jungle", uno spazio di informalità e precarietà che raccoglie tutti i “respinti”. La jungle è solo l’ennesimo spazio di separazione e selezione arbitraria, in cui solo i volontari indipendenti e l’unità mobile di MSF portano qualche forma di aiuto a coloro che ci vivono. Ci sono i bambini che tutta questa esperienza la stanno vivendo da soli. Senza famiglia. Loro, li riconosci dagli occhi.Nella jungle, al riparo di alcuni ruderi nascosti tra gli alberi, le persone si scaldano attorno a fuochi accesi con i materiali più vari e bruciano paglia sparpagliata sul suolo. La jungle in questione è un bosco alle spalle di una stazione di servizio all’altezza dell’Hotel Hara, un albergo che funge da punto di ritrovo di trafficanti di ogni nazionalit�� e da punto di ristoro per chi può permetterselo.La tendopoli creatasi sui binari del treno che collegano il punto di passaggio e selezione con l’area in cui le persone vengono fatte scendere dalle numerose corriere in arrivo. Chi proviene dal Pakistan, dall’Iran o dalla Palestina, pur non essendo tra i prescelti, gode di una maggiore libertà di movimento. Questa piramide del diritto non fa altro che acerbare le rivalità, permettendo che le famiglie afghane o irachene siano lasciate dopo quelle siriane, pur sempre prima dei single, che a loro volta hanno comunque più diritti di un neonato pakistano.Giunte sul confine, le persone scendono dalle corriere e si incamminano parallele ai binari incalzate dagli agenti di polizia greca, approfittando al volo di quanto offerto nelle tende dei vari operatori internazionali. Moltissime sono le persone disabili provenienti dalla Siria, che hanno fatto migliaia di chilometri in carrozzina a causa della loro disabilità per fuggire dai bombardamenti su Aleppo.Uomini di tutte le età si ritrovano bloccati in questo limbo. Essendo fornite da gruppi di volontariato, le risorse alimentari divenato spesso motivo di scontro fra le diverse etnie presenti.Ormai in viaggio da mesi, ragazzi pakistani si sistemano barba e capelli nel campo profughi, offrendo il servizio a pagamento. Coloro che nel proprio paese erano maestri, nel campo di Idomeni continuano la loro missione, quella di non far mancare l'insegnamento ai numerosi bambini e tenerli in luoghi sicuri.Prima che la Macedonia chiudesse definitivamente il confine, i rifugiati proventi dalla Siria avevano più diritto di altri altri a superare la frontiera in direzione Belgrado, dove sarebbero stati accolti in un altro campo profughi. Nella jungle, luogo senza regole, si possono organizzare i viaggi clandestini. Un viaggio organizzato dai trafficanti costa circa 800 euro e prevede un primo tratto di strada a piedi in direzione est e poi un passaggio in autobus. In quattro giorni sei a Belgrado e in altri quattro già in Germania.Alcuni profughi attendono il pallone da calcio di fronte ad un murales inneggiante alla dignità presente sulla tenda di Medici Senza Frontiere. Disegni realizzati dai migranti durante la permanenza nella jungle di Idomeni.Giovani donne costrette a vivere nella jungle, posto vivamente sconsigliato a donne e bambini. Per questo motivo gruppi di uomini si prestano a controllare la zona notte e giorno. Un ragazzo Pakistano bloccato da tre mesi e mezzo ad Idomeni. Molti di loro sono laureati, ma tutto soffrono e tutto fanno tranne che il lavoro per cui hanno studiato.Un gruppo di ragazzi originario del Kurdistan durante una protesta contro le decisioni dell'Europa di chiudere le frontiere.
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Life in Limbo

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Idomeni era il più grande campo profughi della Grecia. Una distesa di tende lungo la ferrovia al confine con la Macedonia. Dove prima c’era un valico per accedere alla rotta balcanica verso l’Europa occidentale, ora c’è una recinzione pattugliata dai militari; chilometri di filo spinato. I paesi dei Balcani hanno cominciato a chiudere le frontiere a singhiozzo, e hanno costruito recinzioni al confine per impedire ai profughi di passare, infine l’Unione europea ha deciso di permettere ai governi di ripristinare i controlli alle frontiere e ha sottoscritto un patto con la Turchia, che prevede di intercettare in mare le imbarcazioni che varcano l’Egeo dirette verso la Grecia e di rimandare indietro i profughi. L’accordo ha determinato la chiusura definitiva della rotta balcanica e quasi 55mila persone sono rimaste bloccate in campi ufficiali o informali in Grecia, sospese in un limbo.

Arrivati qui perché questa è considerata una strada più sicura di quella che contempla le torture dei trafficanti libici, il Mare Mediterraneo, l’Italia. Hanno viaggiato per mesi, sostato in Turchia, raggiunto le coste, attraversato il mare su piccoli canotti a remi. Sono sbarcati sulle isole dei turisti, Kos, Lesbo e Symi. Non hanno mai perso la speranza. Vogliono raggiungere il Nord Europa: la Germania, la Svezia, l’Olanda. Non immaginavano di ritrovarsi bloccati in mezzo a questi binari, dove nessuno li vede. Ancora una volta.

La maggior parte dei profughi di Idomeni è di origine siriana. Vengono da Damasco, da Aleppo, da Deir Ezzor, da Raqqa, da Idlib, da Homs, da Hama. Raccontano la tragica geografia della guerra: le minacce del gruppo Stato islamico che chiamano con disprezzo Daesh, i bombardamenti dell’esercito di Assad sulla popolazione civile, i rastrellamenti, la coscrizione obbligatoria per gli uomini che vengono arruolati per ingrossare le file dell’esercito. Ci sono anche iracheni, afghani, iraniani. Tantissimi curdi, della regione del Rojava – una vita di resistenza tra le montagne per il proprio popolo – e altrettanti palestinesi, spesso già profughi in Siria dopo essere stati cacciati dalla propria terra. La maggioranza appartiene alla classe media, ha una buona formazione scolastica: nel loro paese gestivano negozi, ristoranti, erano insegnanti, artigiani, impiegati, medici, sarti. Se la passavano bene prima della guerra, per questo è ancora più difficile accettare di aver perso tutto e di essere costretti a vivere nella miseria in una periferia dimenticata dell’Europa, bloccati in un limbo fatto di fango, malattie e mancanza di informazioni.

“Mentre torni a casa, a casa tua, pensa agli altri, non dimenticare i popoli delle tende. Mentre ti addormenti contando i pianeti, pensa agli altri, che non trovano un posto dove dormire. Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri, coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.”

Mahmoud Darwish

YEAR

2016

PLACE

Idomeni

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